Descrizione della malattia

L'influenza aviaria è una malattia virale altamente contagiosa, causata da virus appartenenti alla famiglia Orthomyxoviridae ed al genere Influenzavirus A. Dei 3 tipi che costituiscono la famiglia (A, B, C), il tipo A è potenzialmente in grado di causare una grave malattia e di infettare sia l'uomo che un'ampia varietà di mammiferi e di uccelli.

I sottotipi appartenenti a questo genere sono classificati sulla base di due antigeni di superficie:

  • le emoagglutinine (H), di cui, ad oggi, esistono 16 sottotipi;
  • le neuroaminidasi (N), di cui, ad oggi, sono stati identificati 9 sottotipi.

Sono virus ad RNA con genoma segmentato e questa caratteristica li rende particolarmente pericolosi per la loro capacità di modificarsi nel tempo attraverso fenomeni di mutazione genetica.

Cartina Italia

Gli uccelli acquatici, rappresentano l'ospite naturale per il virus dell'influenza aviaria, di cui sono considerati essere una riserva naturale. In questi uccelli infatti si osserva una quasi totale attenuazione della patogenicità, tanto che la malattia è quasi del tutto asintomatica, ed una elevata stabilità antigenica.

Dal punto di vista della patogenicità l'influenza aviaria si può manifestare con due forme cliniche ben distinte, sulla base della severità dei segni clinici che induce nell'ospite.

Le due forme cliniche sono:

  • l'influenza aviaria ad alta patogenicità (HPAI): causata da virus del sottotipo H5 ed H7, malattia devastante per il pollame, che può causare anche una mortalità pari al 100% nella specie recettive.
  • l'influenza aviaria a bassa patogenicità (LPAI): si tratta di una forma clinica molto meno evidente, con un quadro sintomatologico aspecifico, caratterizzato spesso da sintomi respiratori, enterici, depressione e calo dell'ovodeposizione. La malattia a volte può essere inapparente, tanto che, in alcuni casi, essa può circolare all'interno dell'allevamento per lunghi periodi e non essere identificata se non attraverso esami di laboratorio.

Negli ultimi anni è stata posta parecchia attenzione su questi virus, oltre che per l'aumento dei focolai da essi causati, anche per il potenziale zoonosico che hanno manifestato. In epoca recente, si è infatti potuto constatare come virus aviari siano stati in grado di infettare e a volte manifestare segni clinici anche nell'uomo.

I primi casi di infezione umana furono segnalati nel 1997 a Hong Kong a seguito di esposizione a volatili infetti da sottotipo H5N1. Durante l'epidemia olandese del 2003 causata da un virus H7N7, si sono verificati alcuni casi di infezione umana ed il decesso di un veterinario. Nello stesso anno, il sottotipo H5N1 è ricomparso nel Sudest asiatico determinando morie ed abbattimenti negli allevamenti di pollame e numerosi casi umani caratterizzati da elevata mortalità.

Dal 2004 l'infezione si è progressivamente diffusa in altre parti del mondo, compresa l'Europa.

In Italia dal 1997 ad oggi sono stati notificati diversi focolai di influenza aviaria a bassa patogenicità che hanno provocato notevoli danni economici al comparto avicolo (INFLUENZA AVIARIA IN ITALIA: 1999 – 2003, Izs delle Venezie). Nel 1999-2000 si è avuta l'unica grave epidemia italiana causata dal virus H7N1 ad alta patogenicità.

L'infezione può essere introdotta soprattutto tramite:

  • volatili selvatici infetti provenienti da aree in cui la malattia è diffusa (soprattutto per gli allevamenti free-range)
  • commercio di animali e materiale potenzialmente infetto non sufficientemente controllati

Sono numerosi i fattori di rischio che assicurano la diffusione dell'infezione, primi tra tutti l'elevata densità di avicoli, misure di biosicurezza degli allevamenti inadeguate, elevato numero di allevamenti rurali, possibilità di contatti tra avicoli domestici e volatili selvatici (in particolare acquatici), allevamenti multispecie e multietà.

E' attivo in Italia un piano nazionale di sorveglianza che prevede il campionamento di un certo numero di allevamenti di volatili compresi quelli rurali e di svezzamento; i controlli riguardano tutte le specie allevate: pollo, tacchino, faraona, selvaggina (quaglia, starna, fagiano ecc), ratiti, oche e anatre. Inoltre il piano stabilisce che siano sottoposti a sorveglianza gli uccelli selvatici. In particolare queste specie sono sottoposte a sorveglianza attiva e passiva. La sorveglianza attiva ha l'obiettivo di rilevare la presenza di virus LPAI nelle popolazioni dei selvatici ed impone che sia testato un campione di uccelli selvatici sani ottenuto dalla cattura di uccelli vivi nelle aree a rischio o da uccelli abbattuti durante la stagione venatoria. La sorveglianza passiva si basa sulla segnalazione di mortalità anomale nelle popolazioni di selvatici e raccolta di campioni da volatili selvatici morti o moribondi con particolare attenzione alle specie considerate reservoir e al rilevamento dei morti nei siti identificati come aree a rischio.

In caso di sospetto di Influenza aviaria in un'azienda il veterinario ufficiale deve avvisare sia il servizio veterinario regionale sia l'IZS competente per territorio (Manuale Operativo in caso di Influenza aviaria). Le misure da intraprendere consistono nel blocco delle movimentazioni da e per l'azienda, mentre si procede all'indagine epidemiologica e ad ulteriori controlli per confermare o escludere l'infezione. In caso di conferma del focolaio dovrà essere effettuato l'abbattimento di tutti i volatili presenti nella sede del focolaio e, attorno ad essa, saranno identificate aree di ampiezza diversa a seconda della natura dell'infezione HPAI o LPAI in cui intraprendere misure atte a evitare la diffusione dell'infezione.

Prove di laboratorio

Per la diagnosi dell'Influenza aviaria si utilizzano le metodiche ed i criteri interpretativi previsti nel manuale diagnostico (Commission Decision 2006/437/EC). Eventuali stipiti virali isolati nei laboratori di virologia della rete degli IIZZSS dovranno essere inviati al Centro Nazionale di Referenza per conferma e tipizzazione, accompagnati dalla rispettiva scheda di prelevamento campioni utilizzata per il campionamento, tramite test di inibizione dell'emoagglutinazione

Normativa